DISCOGRAFIA

cd_verdi-puccini

Quartetto di Roma

Marco Fiorini, violino
Biancamaria Rapaccini, violino
Davide Toso, viola
Alessandra Montani, violoncello

Casa Discografica: La Bottega Discantica ............................................................................

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Verdi - Puccini

GIUSEPPE VERDI (1813-1901)

QUARTETTO IN MI MINORE

1. Allegro 07:50

2. Andantino 07:15

3. Prestissimo 03:27

4. Scherzo, Fuga 04:29

GIACOMO PUCCINI (1858-1924)

5. Crisantemi 06:24

6. Minuetto I 03:46

7. Minuetto II 02:50

8. Minuetto III 02:34

9. Fuga in LA Maggiore 02:48

10. Fuga in DO minore 03:35

11. Fuga in SOL Maggiore 02:46

12. Allegro moderato 08:21

13. Scherzo - Allegro 03:05

Note complete del libretto e altre informazioni sul cd

Di particolare interesse e riuscita il progetto del Quartetto di Roma che ci svela in questo disco come due grandi del teatro musicale ottocentesco italiano,Verdi e Puccini, si siano confrontati con detta formazione cameristica, simbolo e prerogativa della musica d’oltralpe.

Il quartetto di Giuseppe Verdi nasce con una storia da subito controversa forse a causa dell’atteggiamento contraddittorio del suo stesso creatore; questi lo definì “una pianta fuori clima” destando il dubbio che lo ritenesse un figlio ‘minore’, in più occasioni scrisse di averlo composto non credendoci molto ma piuttosto per vincere l’ozio.

Suo malgrado però, nonostante alla prima esecuzione in forma privata a Napoli il 1° aprile 1873 fossero presenti non più di otto persone, in breve tempo il quartetto fu apprezzato e conosciuto negli ambienti musicali italiani e dopo soli tre anni fu pubblicato e eseguito in Francia, Inghilterra e persino nella patria del genere, ovvero nel mondo austro-tedesco.

Nel 1876 Ricordi menziona il successo del quartetto dichiarando che il lavoro fosse “degno della fama del suo autore” e che in particolare il pubblico era stato impressionato favorevolmente dal tema del violoncello nel terzo tempo tanto da richiederne un bis.

E’ pur vero che ci furono rivalità sotterranee, da quell’ambiente quartettistico di gusto “classico” che predominava in Italia e che fu la causa della tarda esecuzione del lavoro verdiano presso la Società del Quartetto di Milano, avvenuta solo nel 1901.

Proprio a questo pubblico si riferiva forse Verdi nella dizione “fuori clima”, avvertendo di presentare un’opera non in linea con  l’atmosfera dominante, ma anzi con tratti nuovi e originali. In altre pagine si risolve infatti il suo atteggiamento contraddittorio e si evince che il suo desiderio, non disatteso in questa esecuzione, fosse in particolare teso alla corretta esecuzione della sua musica.

Potremmo usare le parole dello stesso Verdi per tratteggiare le scelte esecutive del Quartetto di Roma che percorre la strada della chiarezza e della raffinatezza; “… tutto deve sortire, anche nei contrappunti più complicati, netto e chiaro; e questo si ottiene suonando leggerissimamente, e molto staccato in modo che si distingua sempre il soggetto sia dritto che rovesciato”.

Il compositore si riferisce in particolare all’ultimo tempo in forma di fuga, ma lo stile composto e cristallino del nostro Quartetto di Roma risulta di particolare efficacia anche negli altri tempi e sottolinea con convinzione il contrasto di omoritmia e scrittura contrappuntistica che risulta essere uno dei caratteri salienti dell’opera.

La struttura del lavoro, che si basa sul ritorno quasi ciclico di cellule ritmiche e motiviche scaturite dal primo tema, presentato in apertura dal secondo violino, conferma che il quartetto sia tutt’altro che un diversivo ma anzi un’opera melodicamente studiata nei minimi dettagli.

Dopo il primo tempo con carattere spesso vigoroso e dai toni perentori, i tempi centrali si presentano più leggeri nel carattere e meno complessi nella forma, con una discendenza più acclarata dallo stile strumentale italiano, permeato di gesti operistici, a mò di teatro da camera per quattro strumenti. Ne è un esempio il tema civettuolo del primo violino nel 2° tempo o il già citato cantabile del violoncello nella sezione centrale del 3°.

Anche Giacomo Puccini non tarda a cimentarsi con il genere considerato più nobile nel mondo cameristico; i suoi lavori nascono tutti attorno al periodo di studi del compositore ovvero prima che divenisse, con la sua Manon Lescaut, un operista di fama mondiale. Il primo che ascoltiamo nel cd, Crisantemi, è in realtà il più tardo, composto nel 1890 dopo la morte del quarantacinquenne Amedeo di Savoia, figlio del re d’Italia Vittorio Emanuele II, venne eseguito con grande successo a Milano ed è oggi il brano cameristico più conosciuto del nostro autore.

Egli sembra non avesse percepito l’importanza che invece poi tale pezzo significò; nel suo abbozzo lo indicò come Breve improvviso ma visto il successo ottenuto lo usò poi come materiale di ispirazione nell’atto finale di Manon Lescaut.

L’esecuzione del Quartetto di Roma senza estreme piaggerie rende il famoso tema iniziale con colori caldi e fraseggio seducente.

I Tre Minuetti furono scritti nel 1884 e pubblicati nell’autunno dello stesso anno; anche di questi brani si possono riconoscere reminiscenze nella Manon e si nutrono, inoltre, della sua stessa atmosfera rococò.

Rappresentano dei veri e propri compiti scolastici le Tre fughe, composte durante gli anni di studio al Conservatorio di Milano tra il 1882 e 1883, i manoscritti riportano addirittura correzioni di mano di un insegnante; seppur di evidente condotta ‘giovanile’ si avverte anche in tali pagine il futuro Puccini e si apprezzano atmosfere ispirate con echi di stampo bachiano.

Che Puccini avesse però in mente di comporre un vero intero quartetto ci è testimoniato in diverse occasioni; era certamente per il compositore un modo per confrontarsi con la tradizione consolidata dei grandi compositori viennesi e poteva significare la dimostrazione di saper trattare a fondo con la composizione a quattro parti.

Già pochi mesi prima del suo inizio al Conservatorio di Milano egli scrisse a sua madre: “Stasera ci ho da studiare per domani che ho la lezione di Bazzini e devo fare un quartetto d’archi.”

Ciò che è pervenuto però non è un lavoro completo; il primo tempo, ritrovato e pubblicato nel 1985, ma risalente agli stessi anni di studio, ovvero 1882, essendo giunto a noi in parti staccate, (solo una, quella del primo violino di mano di Puccini, le altre copiate dal fratello Michele e da un copista) fa pensare che fu  eseguito o che ci fosse almeno l’idea di farlo.

Dopo tale ritrovamento fu aggiunta la scoperta di un manoscritto dal titolo Giacomo Puccini/Scherzo per Archi (ultimo tempo del quartetto in re)/ Riduzione per piano a 4 mani di M.Puccini/ Lucca Novembre 1883.

Il periodo di stesura quindi analogo al primo tempo. Degli altri due tempi nulla di certo; si potrebbero dedurre, ma con arbitrio, da altri brani e miscellanee dello stesso periodo 1882-83 non pervenutici però completi. Ricordi nel 2001, usando una rielaborazione di W.Ludewig, ha pubblicato seguendo questo criterio un lavoro completo in quattro tempi. In una interpretazione convincente il Quartetto di Roma ha scelto di presentarci fedelmente in questo disco ciò che di certo è di mano del nostro Puccini.

Irene Franceschini

 

 

Di particolare interesse e riuscita il progetto del Quartetto di Roma che ci svela in questo disco come due grandi del teatro musicale ottocentesco italiano,Verdi e Puccini, si siano confrontati con detta formazione cameristica, simbolo e prerogativa della musica d’oltralpe.

Il quartetto di Giuseppe Verdi nasce con una storia da subito controversa forse a causa dell’atteggiamento contraddittorio del suo stesso creatore; questi lo definì “una pianta fuori clima” destando il dubbio che lo ritenesse un figlio ‘minore’, in più occasioni scrisse di averlo composto non credendoci molto ma piuttosto per vincere l’ozio.

Suo malgrado però, nonostante alla prima esecuzione in forma privata a Napoli il 1° aprile 1873 fossero presenti non più di otto persone, in breve tempo il quartetto fu apprezzato e conosciuto negli ambienti musicali italiani e dopo soli tre anni fu pubblicato e eseguito in Francia, Inghilterra e persino nella patria del genere, ovvero nel mondo austro-tedesco.

Nel 1876 Ricordi menziona il successo del quartetto dichiarando che il lavoro fosse “degno della fama del suo autore” e che in particolare il pubblico era stato impressionato favorevolmente dal tema del violoncello nel terzo tempo tanto da richiederne un bis.

E’ pur vero che ci furono rivalità sotterranee, da quell’ambiente quartettistico di gusto “classico” che predominava in Italia e che fu la causa della tarda esecuzione del lavoro verdiano presso la Società del Quartetto di Milano, avvenuta solo nel 1901.

Proprio a questo pubblico si riferiva forse Verdi nella dizione “fuori clima”, avvertendo di presentare un’opera non in linea con  l’atmosfera dominante, ma anzi con tratti nuovi e originali. In altre pagine si risolve infatti il suo atteggiamento contraddittorio e si evince che il suo desiderio, non disatteso in questa esecuzione, fosse in particolare teso alla corretta esecuzione della sua musica.

Potremmo usare le parole dello stesso Verdi per tratteggiare le scelte esecutive del Quartetto di Roma che percorre la strada della chiarezza e della raffinatezza; “… tutto deve sortire, anche nei contrappunti più complicati, netto e chiaro; e questo si ottiene suonando leggerissimamente, e molto staccato in modo che si distingua sempre il soggetto sia dritto che rovesciato”.

Il compositore si riferisce in particolare all’ultimo tempo in forma di fuga, ma lo stile composto e cristallino del nostro Quartetto di Roma risulta di particolare efficacia anche negli altri tempi e sottolinea con convinzione il contrasto di omoritmia e scrittura contrappuntistica che risulta essere uno dei caratteri salienti dell’opera.

La struttura del lavoro, che si basa sul ritorno quasi ciclico di cellule ritmiche e motiviche scaturite dal primo tema, presentato in apertura dal secondo violino, conferma che il quartetto sia tutt’altro che un diversivo ma anzi un’opera melodicamente studiata nei minimi dettagli.

Dopo il primo tempo con carattere spesso vigoroso e dai toni perentori, i tempi centrali si presentano più leggeri nel carattere e meno complessi nella forma, con una discendenza più acclarata dallo stile strumentale italiano, permeato di gesti operistici, a mò di teatro da camera per quattro strumenti. Ne è un esempio il tema civettuolo del primo violino nel 2° tempo o il già citato cantabile del violoncello nella sezione centrale del 3°.

Anche Giacomo Puccini non tarda a cimentarsi con il genere considerato più nobile nel mondo cameristico; i suoi lavori nascono tutti attorno al periodo di studi del compositore ovvero prima che divenisse, con la sua Manon Lescaut, un operista di fama mondiale. Il primo che ascoltiamo nel cd, Crisantemi, è in realtà il più tardo, composto nel 1890 dopo la morte del quarantacinquenne Amedeo di Savoia, figlio del re d’Italia Vittorio Emanuele II, venne eseguito con grande successo a Milano ed è oggi il brano cameristico più conosciuto del nostro autore.

Egli sembra non avesse percepito l’importanza che invece poi tale pezzo significò; nel suo abbozzo lo indicò come Breve improvviso ma visto il successo ottenuto lo usò poi come materiale di ispirazione nell’atto finale di Manon Lescaut.

L’esecuzione del Quartetto di Roma senza estreme piaggerie rende il famoso tema iniziale con colori caldi e fraseggio seducente.

I Tre Minuetti furono scritti nel 1884 e pubblicati nell’autunno dello stesso anno; anche di questi brani si possono riconoscere reminiscenze nella Manon e si nutrono, inoltre, della sua stessa atmosfera rococò.

Rappresentano dei veri e propri compiti scolastici le Tre fughe, composte durante gli anni di studio al Conservatorio di Milano tra il 1882 e 1883, i manoscritti riportano addirittura correzioni di mano di un insegnante; seppur di evidente condotta ‘giovanile’ si avverte anche in tali pagine il futuro Puccini e si apprezzano atmosfere ispirate con echi di stampo bachiano.

Che Puccini avesse però in mente di comporre un vero intero quartetto ci è testimoniato in diverse occasioni; era certamente per il compositore un modo per confrontarsi con la tradizione consolidata dei grandi compositori viennesi e poteva significare la dimostrazione di saper trattare a fondo con la composizione a quattro parti.

Già pochi mesi prima del suo inizio al Conservatorio di Milano egli scrisse a sua madre: “Stasera ci ho da studiare per domani che ho la lezione di Bazzini e devo fare un quartetto d’archi.”

Ciò che è pervenuto però non è un lavoro completo; il primo tempo, ritrovato e pubblicato nel 1985, ma risalente agli stessi anni di studio, ovvero 1882, essendo giunto a noi in parti staccate, (solo una, quella del primo violino di mano di Puccini, le altre copiate dal fratello Michele e da un copista) fa pensare che fu  eseguito o che ci fosse almeno l’idea di farlo.

Dopo tale ritrovamento fu aggiunta la scoperta di un manoscritto dal titolo Giacomo Puccini/Scherzo per Archi (ultimo tempo del quartetto in re)/ Riduzione per piano a 4 mani di M.Puccini/ Lucca Novembre 1883.

Il periodo di stesura quindi analogo al primo tempo. Degli altri due tempi nulla di certo; si potrebbero dedurre, ma con arbitrio, da altri brani e miscellanee dello stesso periodo 1882-83 non pervenutici però completi. Ricordi nel 2001, usando una rielaborazione di W.Ludewig, ha pubblicato seguendo questo criterio un lavoro completo in quattro tempi. In una interpretazione convincente il Quartetto di Roma ha scelto di presentarci fedelmente in questo disco ciò che di certo è di mano del nostro Puccini.

Irene Franceschini